Con ciò, ponendo subito in primo
piano le difficoltà e le incertezze potenziali di un’iniziativa
del genere, riteniamo di formulare il più sincero e convinto
augurio a “il Leonardo” e all’audacia dei redattori.
Ché poi, se oggi “audacia” potrebbe sembrare il termine
adatto all’animo dei promotori di siffatta Rivista, non è detto,
anzi, è certo che nel domani essa si sarà dimostrata un atto
dovuto, più che necessario per la definizione di un’area di vitalità e
libertà creative di grande respiro).
Perché, dunque, “Leonardo”? perché nel
presente tecnologico del rebus ancora ci affascina l’umanistico,
ma quanto lontano, riferimento al Genio vinciano?
Anzitutto per un motivo di nobile discendenza: insomma, la soddisfazione
di poter vantare ab antiquo quella Mente che la storia dell’Arte
colloca ai vertici delle possibilità intellettive. Come dire
la sicurezza di porre all’eventuale sorrisetto ironico e sprezzante
dei non addetti ai lavori la statura eminente di un Personaggio d’indiscutibile
valore; un modo semplice di replicare: se così Lui, perché non
anche noi? Il che – oltre ad escludere di essere scambiati
per bislacchi parvenus – costituisce il nostro retroterra da
cui è più agevole e giustificato muovere passi in avanti,
e senza tracce d’infantilismo.
A giusta ragione, giacché è assai di conforto che
un talento quale Leonardo si sia “divertito” nel dedicarsi
a quel gioco, antico quanto il parlare umano, consistente nel trovare “cose” all’interno
delle catene discorsive, e con tanta acutezza di studio da costruire
ex novo catene fondate unicamente su “cose”. Non è questo,
dunque un giochetto da nulla, se esso ha saputo captare l’attenzione
di così vasto Ingegno. E non è poco, anzi, moltissimo
per noi. Donde nessuno potrà impedirci di contemplare i “reperti” rebussistici
di Leonardo quali vestigia di una “civiltà” ludica
non meno prestigiose – fatte però, le debite proporzioni – di
quelle della civiltà romana. Poiché che
altro sono quei leonardeschi “resti”: sol la fé mi
fa..., s’ella mal va..., che posso fare se la...; i’ arò caro... – che
altro se non gloriose rovine di costruzioni fraseologiche dirute
dal Tempo che venne meno al nostro Genio per completarle?
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Talché, aggirarsi
fra quelle “rovine” non è un po’ come respirare l’aura di perdute grandezze che avvertirono
gl’intelletti stranieri dinnanzi ai ruderi romani della Roma
secentesca?
Un seconda ragione del fascino che emana l’ascendenza leonardesca si
basa, a nostro parere, sull’autonomia di realizzazione dell’operato
rebussistico di quell’Ingegno.
E sì: quale autore di rebus non vorrebbe avere la stessa
maestria e fertilità di tratto che Leonardo applicava ad hoc?
(A tale riguardo vi è una circostanza che ancor più ci
lega, e in modo familiare, al Genio vinciano: l’esistenza,
fra le sue “chiavi” figurative, di “oggetti” di
cui il rebus tuttora si avvale. Per ciò, rivederli là,
sui fogli dei suoi “codici”, ossia nel loro ambito originario,
sembra quasi di ritrovare una “consanguineità” che
un poco attenua e in qualche modo legalizza l’eccessivo uso,
in un recente passato, di api orse orsi more noci ecc. Comunque,
legami atavici di tutto rispetto ma da lasciare riposare nel loro
limbo o, tutt’al più, da ripescare nei casi in cui ve
ne sia una degna ragione).
C’è, quindi, in Leonardo, in forza della coincidenza
tra autore e realizzatore iconografico, il segno di una fatalità emblematica,
cioè la condizione migliore dell’attività rebussistica.
Proprio per noi cui, di fronte all’avanzare continuo della
tecnica rebussistica, fa remora l’impossibilità (finora)
di un’autosufficienza in grado di concretare il supporto figurativo
nel modo più rispondente alle determinazioni della doppia
lettura.
Anche questo, ripetiamo, fa sì che Egli si proponga quale genio epònimo
del rebus e, per ciò stesso, di questa Rivista, la cui intestazione
appunto nel Suo nome s’identifica.
E se di Lui non è vacuo ricordare che tanto nomini nullum
par elogium, è altresì doveroso riflettere che l’aver
preso a insegna un Nome di fama universale è un forte “azzardo”,
un impegno di precisione e di buon gusto non comuni per noi, che
con spericolata arditezza ci asseriamo suoi “nipotini”.
Cui Egli – si può immaginare – direbbe: ragazzi,
non chiedo che voi dobbiate ideare opere in tutto meritevoli di me,
ché sarebbe fuor di luogo pretenderle, ma almeno rebus che
non mi facciano sfigurare, sì!
Fantasio |