Il
rebus, questo conosciuto
Troppo conosciuto, forse. Non certo dagli acquirenti più o
meno occasionali dei settimanali enigmistici, ché quelli,
molto spesso, davanti alle asettiche raffigurazioni di nani e di
peri coperti da lettere alfabetiche, si affrettano a girar pagina
e a dilettarsi con gli spazi da riempire per vedere che cosa apparirà.
Ma gli esperti, gli addetti ai lavori? Beh, quelli il rebus lo conoscono intus
et in cute (mi alleno alle citazioni colte perché questo
campo, pieno come è di affissi, di grafemi, di equipollenza e di sintagmi lascia poco spazio agli sprovveduti). |
Purtroppo,
però, come i critici d'arte che non sanno tenere un pennello
in mano o i critici letterari la cui prosa non lievita al di sopra
dell'articoletto di routine, così il critico del rebus, chiamato
a produrne, ne sforna spesso di assai mediocri, quando non, addirittura,
di indecenti. Ma qual è il limite della decenza? Questo è il
rebus! Per i rebussisti di estrazione classica (quelli che vengono
dalle crittografìe, per intenderci, e che spesso farebbero
bene a tornarci) è indecente un numero di affissi eccessivo,
una cesura non osservata, un'equipollenza anche larvatissima. Ciò è commendevole
e tale austerità del costume rebussistico sarebbe la benvenuta
se però si estendesse ad altri aspetti della disciplina, quali
la bontà, o almeno la dignità della frase risolutiva,
la verosimiglianza della scena, l'affinità tra gli elementi
che la compongono o tra le azioni che vi si svolgono, un disegno
che non sia piegato alla necessità di far diventare logico
l'illogico.
Gli altri, i rebussisti puri, i brighiani, sono
coloro i quali non si accappona la pelle se un articolo IL lo vedono
scritto
per intero
sul disegno (sempre che il rebus sia apprezzabile per altri versi)
ma che difficilmente riuscirebbero a mandar giù frasi inusitate
(Malgasci attoniti, lapis cinesi, ecc.) solo perché ci sono
da sfruttare chiavi altrimenti inutilizzabili. Il rebussista puro,
il brighiano, è un nobile che si concede di rinunciare a chiavi
nuove e magari belle se non riesce a finalizzarle ad una frase almeno
onesta. La sua generosa magnanimità arriva al punto di farlo
desistere dall'impresa se il prezzo da pagare è non solo una
frase brutta ma anche qualche orrido intrico di preposizioni articolate
direttamente riferite all'esposto ( pel l'I, coll'A, e via scimmiottando
l'arida crittografìa). D'altronde il brighiano puro sa che il
rebus non è il suo mestiere (i rebus, come i carmina, non dant
panem), non ne deve produrre a quintali, nessun dottore gli ha ordinato,
per vincere qualche misteriosa nevrosi, d'invadere l'universo coi segni
della sua incontinenza edipica. Egli sarà pure un grafomane
ma alla fin fine |
metterà al
mondo una piccola parte (quella che reputa
conforme al rispetto di sé e del proprio hobby) dì ciò che
la sua monomaniacale perversione gli avrà dettato.
I
crittografici, invece, trasportano nel far rebus, gli stessi parametri
che adottano, forse anche giustamente, nella crittografia. Ma il
rebus è un'altra cosa! La stessa presenza di un supporto iconografico,
inesistente nella crittografia, lo rende un genere a sé, che
reclama l'adozione di criteri suoi peculiari, che tengano conto,
quindi, dello specifico rebussistico.
Il rebussista puro ama il rebus
caldo, quello che muove sentimenti, quello che rivela fascinose
corrispondenze fra i suoi elementi, affini
o contrastanti che siano, quello giocato sulla ripetizione di una
chiave, quello in cui la logica o la consequenzialità non
sono affidate alla prodigiosa fantasia di un disegnatore ma si deducono
a prima vista,
anzi, al primo ascolto della chiave.
Per contro, ci sono i rebus frigidi,
tipici dei crittografici: pochissime lettere esposte (anche a costo
di forzature logiche spesso deleterie),
cesura rigorosa, consequenzialità evidenziata solo dal disegno,
frase tollerabile (mai bella), uso noncurante di participi presenti
tanto stridenti quanto obsoleti o inusitati nel parlar comune, abuso
di particelle enclitiche fino ai limiti del comico (amolle = le amò!).
Diciamo pure che il classico compone rebus non con materiale di
prima scelta, quali le parole comuni dello scrivere e del parlare
quotidiani,
ma con materiale tollerato (parole inusitate ma registrate da qualche
dizionario, participi presenti spesso... impresentabili, termini
arcaici, letterali o strettamente specialistici: tutto fa brodo...).
Basta così.
Volevo concludere con un embrassons nous ma la mia viscerale adesione
al rebussismo brighiano mi impedisce di compiere gesti di pacificazione.
Cercatevi un altro mediatore!
Massimo Cabelassi (McAbel) (da: "La
voce dell'A.R.I. - Aprile 1986) |