Tecnica
rebussistica
Il rapporto autore-solutore
Tra le diverse sezioni dell'enigmistica classica, il rebus è forse
il solo in continua evoluzione. A questo suo lento ma costante rinnovarsi
giovano diversi fattori quali la scoperta di nuove tecniche, le aumentate
possibilità (e capacità) illustrative, l'arricchimento del
linguaggio e soprattutto l'efficacia di una scuola che produce sempre giovani
autori con il loro bagaglio di idee e d'originalità.
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Tale
sviluppo si è concretato sulle pagine dei settimanali (direi,
senza timore di campanilismo, di un settimanale) tra i cui lettori
si vanno via via formando nuove leve di appassionati, alcuni dei
quali già approdati nella più ristretta cerchia della
cosiddetta "classica". Questo movimento è spontaneo
e sempre vitale, in quanto alimenta i suoi entusiasmi al di fuori
delle sgradevoli ruggini, tipiche del piccolo mondo enigmistico.
Sono questi anonimi appassionati, autori e soprattutto solutori,
i destinatali ai quali l'A.R.I. dovrebbe rivolgere la propria attenzione,
nello sforzo di realizzare le finalità che si è proposta.
Ed è in questa prospettiva non limitata al solo nostro or-ticello
che si presenta il rischio, già diverse volte avvertito, di
compromettere
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l'equilibrio
del delicato rapporto autore-solutore. Fare rebus è bello,
può appagare in modo sorprendente il personale bisogno di
creatività e concretizzare così la propria aspirazione
di riuscire ad esprimere se stessi: altrettanto bello è risolvere
rebus, scoprendo capacità sommerse nello sforzo di decifrare
il messaggio di figure, lettere e numeri che viene proposto.
L'esigenza è di
fare sempre cose nuove, il pericolo è di passare inavvertitamente
i limiti che alterano le regole del gioco: come conciliare tutto
questo? La risposta, senz'altro non semplice, ai nostri sempre bravi
ed attenti autori.
Piero Bartezzaghi (Zanzibar) (da: "La
voce dell'A.R.I." -
Aprile 1986)
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