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Stacco - dalle Memorie di Long Reb (1680)

u l’anno in cui tutti credevano che mi avessero impiccato, che feci la mia fortuna.

Sotto il tappo di una delle tante bottigliette di Actimel all’aragosta (speziata, questa volta), avevo finalmente trovato il pezzo mancante di una piccola mappa (praticamente una mappina) che conservavo gelosamente sotto lo jabot: per cui, avevo finalmente ricostruito nei dettagli l’ambita pianta del tesoro nientepopodimenocché del bucaniere Merlin.

Sorgeva la necessità di impedire che quelle due indiavolate della Bonney e della Read venissero a conoscenza del fatto: non mi ero sciroppato ettolitri di actimel per questo, in tutti quegli anni!!!
La Bonney, soprattutto, era una da temere. Con quella sua mania di allevare animali strani, come iguane, diavoli della Tasmania e pappataci, finiva sempre che mi ritrovavo qualche zampa pelosa nel brodo… E guai a farle un appunto! Subito ti scagliava addosso il suo fido Nené 12, un guardaspalle neghittoso sempre pronto alla tracheotomia non analgesica.

Il piano che escogitai fu perfetto. Quella mattina, appena approdato a Port au Prince, indossai uno jabot a collo alto, inamidato all’inverosimile. Quindi, feci in modo da essere riconosciuto da uno degli armigeri che circolavano oziosamente sul molo. Non ricordo più bene il suo nome (Duren, mi pare che si chiamasse), ma rammento bene il suo sguardo rapace e, soprattutto, il suo alito da macaco ulceroso.

Mi individuò subito (forse anche perché mi ero messo in testa una bandana color rosso fuoco, colore che - scoprii più tardi - egli odiava cordialmente). Quindi, con l’aiuto di altri sette giannizzeri, mi portarono via, sotto gli occhi sgomenti della ciurma (nessuno avrebbe più preparato per loro gli champignons al sugo di acacia).
Fui processato per direttissima e, in ossequio al principio del favor rei (mai lasciare in prigione per troppo tempo un condannato a morte: potrebbe deprimersi), condotto sul patibolo all’alba del giorno seguente.

Ma avevo lo jabot a collo alto e ben inamidato. Il nodo scorsoio si strinse saldamente sotto i suoi risvolti ed io rimasi a penzolare lassù, incappucciato e intimamente ghignante, nel cielo azzurro di una splendida alba di libertà…

Long Reb

* * *

dal Diario di Bordo dell’Enigma

imasi per un momento con una tartina semispalmata in una mano e il coltello nell’altra, incredula di fronte a quella visione. Mi tornò subito alla mente il nostro ultimo incontro: Oswald stava inginocchiato di fronte a me, come sempre, nella sua armatura da notte; la differenza era che quella volta delirava di destini che si incontrano, unioni indissolubili e dabbenaggini di questo genere.
“ Meine kleine kartoffeln, ich folere essere tua buccia jah!“. Come se non bastasse mi aveva portato in dono, invece della solita confezione di mini panetti di burro aromatizzati Calvin Klein 13 di cui andavo pazza, un inutile anello di brillanti del peso di qualche libbra.

Fingendo commozione e pudore gli avevo chiesto di chiudere gli occhi affinché potessi donargli tutta me stessa, e mi infilai l’anello nel bustino (dove di solito infilavo i panetti per farli squagliare). Prima ancora che si inumidisse le labbra ero già lontana, a mimare la scena alla ciurma dell’Enigma, fra risate e commenti volgari. L’unico che invece si era commosso era Gollio, che si era ritrovato il suo doppio malto annacquato da un fiume di lacrime.

Tutti questi ricordi durarono solo un attimo, ma Anne aveva già capito cosa stavo per fare. Volevo infilzare il cavallo dei pantaloni di quel petulante Conte dei miei stivaletti al bancone, e con un secco colpo del mio polso la lama si piantò sul legno.

Fra lo stupore generale, però, mancai il bersaglio: colpa di quel Lord Alois Applet che, mentre il coltello era in volo, tirò fuori il suo famigerato regolo calcolatore in argento massiccio su cui era raffigurata, a sbalzo, l’effigie dell’eroico condottiero Francis “Spitting” Toth 14. Lord Applet impostò i dati sul peso del coltello, l’attrito dato dalla patina di quella particolare marmellata e la probabilità che un mosquito ne deviasse la traiettoria. Appena ebbe il risultato spostò Oswald di appena un pollice, quel che bastava per sottrarlo al mio lancio. Senza scomporsi, concluse con un serafico “CVD”.

Il silenzio improvvisamente calato nella locanda fu rotto dal vocione dell’ammiraglio Bear 15, abituato a scene di quel tipo. “Direi che per oggi può bastare. Fate i bravi, tutti, e forse avrete la merenda”.

Alla parola “merenda” gli avventori lanciarono in aria i cappelli con un triplo hurrà. Gin, senza cappello, lanciò in aria Gollio che si commosse nuovamente, soprattutto quando atterrò di nuca.

Long Reb, che nel frattempo si era appartato con quella smorfiosa stiratrice creola Claire Dévergence 16 per farsi inamidare lo jabot, ricomparì tutto sudato e con i baffi di maionese per rifocillarsi anche lui. Nell’aria, un vago sentore di meringa.

Mary Read

* * *

 

 
 
 
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