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I CANONI DI BELLEZZA NEL REBUS

(segue)

Non sono quindi molto d’accordo con chi invoca una maggiore indulgenza riguardo l’accettabilità delle frasi finali, allo scopo di salvaguardare chiavi interessanti altrimenti non proponibili. Questa è una questione molto controversa ed è naturalmente subordinata alla sensibilità di ognuno, ma l’incontestabilità della frase finale discende proprio dal fatto che il rebus è a pieno titolo un gioco appartentente all’enigmistica classica che, come ben sappiamo, si basa sul concetto di doppio soggetto;

ma, mentre nei giochi in versi il soggetto apparente e quello reale vengono descritti attraverso le stesse parole utilizzando la dilogia e i bisensi, nel rebus, il soggetto apparente è, sì, rappresentato dalla scena e dalla chiave ritratta, ma non c’è alcuna traccia di indicazione per il soggetto reale, che è in effetti la soluzione. Va da sé, quindi, che la soluzione stessa deve per forza essere una frase non necessariamente “fatta”, ma quantomeno plausibile e soprattutto per nulla arbitraria. In sostanza, il solutore deve essere sicuro, una volta trovata la soluzione, di aver risolto correttamente il rebus.

A differenza dell’illustrazione, che viene generalmente abbuonata in toto agli autori, l’accettabilità o meno della frase risolutiva può essere comunque oggetto di discussione, potendo costituire argomento di dibattito all’interno delle varie giurie. Per esperienza personale, posso però affermare che su questo aspetto solitamente il giudizio è piuttosto unanime e, malgrado la sensibilità personale di ognuno, che naturalmente varia da soggetto a soggetto, si arriva ad una convergenza di opinioni che permette al gioco in questione di essere accettato o meno senza troppe difficoltà.

Aprendo una piccola parentesi, parlando di rebus da concorso, solitamente ci si riferisce a rebus con chiavi dinamiche o di relazione, e questo non perché ci sia una preclusione a priori, ma semplicemente per il fatto che gli autori stessi si rivolgono per lo più verso questa direzione, che inevitabilmente apre più strade alla creatività. Ciò non toglie che anche un bel rebus di pura denominazione (così come è originariamente nato, in effetti) non possa essere più che apprezzato: anzi, ritengo che ideare un bel rebus di denominazione, con chiavi omogenee, sia paradossalmente più difficile. Sarei curioso di vedere cosa uscirebbe se si indicesse un concorso per rebus di pura denominazione, come era stato fatto ‘informalmente’ da Briga più di vent’anni fa...

Per chiudere questa breve digressione, vorrei citare, a tal riguardo, due celebri esempi per tutti:

Rebus: 6 1; 1 9 = 10 7

briga
(Briga, La Settimana Enigmistica 1974)

Rebus: 1 5; 8 1 1 = 6 3 7

picar
(Picar, La Settimana Enigmistica 1980)

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