I CANONI DI BELLEZZA NEL REBUS
(segue)
La frase finale, si diceva, è come un interruttore, acceso o spento. Quindi, a mio modo di vedere anch’essa non costituisce materia di giudizio, non esistono cioè frasi belle o meno belle, appena passabili o ottime, la frase va oppure non va: una volta che il rebus viene accettato, possiamo perciò mettere da parte anche questo lato del triangolo.
Rimane quindi il lato che costituisce la vera materia di discussione, in sede di giudizio: la cosiddetta “prima lettura”, o chiave del rebus. Questo aspetto, che è l’impianto, il meccanismo vero e proprio del gioco, si può prestare a considerazioni di vario tipo, che sono naturalmente soggettive, ma che si possono inquadrare in un elenco, più o meno condivisibile, di “qualità”.
Per ogni aspetto che elencherò, citerò, a titolo esplicativo, anche qualche gioco “storico”, appartenente allo sterminato patrimonio rebussistico nazionale:
- PLAUSIBILITÀ DELLA SCENA
- SCORREVOLEZZA DELLA CHIAVE
- ORIGINALITÀ
- GRADO DI DEDUTTIVITÀ
- CONTINUUM FRASEOLOGICO
- CESURA
- LETTERE ESPOSTE
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PLAUSIBILITÀ DELLA SCENA – La sceneggiatura plausibile raggiunge il suo massimo quando il rebus viene costruito su un’immagine colta da un’opera pittorica esistente, da un avvenimento storico, da una scena teatrale, da una locandina cinematografica; naturalmente anche una sceneggiatura di stretta attualità, oppure riguardante una comune situazione
Rebus: 1 5 1 4, 3 1 = 4 6 1 4
(Zio Igna, Concorso “La Settimana Enigmistica” 1983) |
tratta dalla quotidianità è altrettanto buona. In molti casi spetta all’abilità dello sceneggiatore ambientare la chiave in un contesto plausibile, ma è molto spesso la chiave stessa a rendere impossibile tutto ciò, giungendo quasi alla soglia dei famigerati “rebus folli”...
Rebus: 1 5 2 1 1 1 2 4 = 5 12
(McAbel, Concorso “La Settimana Enigmistica” 2004) |