Le
grandi interviste di Chiagia:
Vincenzo Cerami
“La bellezza
dell’enigmistica è la
sua purezza, giocare in superficie, con i significanti e non con
i significati.” Non si tratta di un estratto del verbale di
un serioso convegno di enigmisti ma di un brano tratto dall’ultimo
libro di Vincenzo Cerami. Cerami è uno per il quale si usa
dire che non servono presentazioni e noi, da bravi intervistatori,
le limiteremo
a poche righe. Giusto quelle che ci bastano per dire che Cerami è davvero
uno dei grandi geni italiani, capace di spaziare tra letteratura,
cinema, teatro, musica, fumetti, poesia, giornalismo, televisione,
università.
Uno del quale Benigni (con il quale ha condiviso sogni da
inventare e premi da ritirare) dice: “Mi basta sentire il nome e applaudo.” Uno
che ha percorso pezzi di strada con Pasolini, Moravia, Calvino. Un
mostro di versatilità che oggi ha pensato bene di svelarci
la sua passione per l’enigmistica con il suo nuovo romanzo,
L’incontro,
definito dalla stampa “il primo thriller enigmistico”.
È la storia di un lungo indovinello che passa dalle mani
del suo creatore, un anziano professore universitario, a quelle
del solutore,
il giovane e già disincantato Lud che, nel dipanarsi della
soluzione, scoprirà storie a lui vicinissime nel tempo e
nello spazio, eppure sideralmente lontane dal suo mondo.
Per saperne
di più abbiamo l’onore di ospitare Vincenzo
Cerami che ringraziamo per aver accettato il nostro invito.
Chiagia |
Cominciamo
proprio dalla bellezza dell’enigmistica. Quanto si diverte Vincenzo
Cerami a infilare le mani nel cassetto dei significanti e dei significati?
Qual è il suo rapporto con l’enigmistica?
L’enigmistica, con tutti i suoi giochi,
trucchi, linguaggi, trappole, occultamenti, deragliamenti, inganni… sposta
su un piano tutto mentale, in una logica altra, tutto quanto è misterioso
nella vita concreta. Risolvere un problema enigmistico mima lo scioglimento
di un nodo che per qualche tempo ci ha assillato. E quel che è sorprendente
sta nella semplicità, quasi ovvietà della soluzione.
Ciò che sembrava assurdo e intricato ci appare di colpo di
una ovvietà disarmante. Quando non riesco a trovare lo sbocco
di una crittografia m’incaponisco, come se si trattasse di
un disagio personale in cui mi sono incastrato. Amo l’enigmistica
e mi sento fratello di tutti coloro che, come me, la amano. Giocare
con le strutture e con le parole è in fondo il vero lavoro
dello scrittore. Quando imposto un romanzo o un racconto, non poco
della mia vocazione all’enigmistica entra in gioco. Il racconto è una
macchina virtuale, è la retorica di un sentimento nei confronti
del mondo. In casa mio nonno, mio padre, mio zio, mio fratello hanno
consacrato alla Settimana Enigmistica molte giornate. Io proseguo
la tradizione e i miei due figli sono sulla strada giusta. Poi ho
molti amici che condividono con me questa passione. Il più “vocato” di
loro è Paolo Conte, ecco la sua ultima crittografia: TUTTO
= Parte non è = Partenone.
Nella sceneggiatura de La Vita è bella avevamo
avuto un assaggio del Cerami enigmista che con l’allegoria
dell’ufficiale nazista ci mostra la follia del solutore frustrato.
Come era nata l’idea di inserire gli indovinelli nella storia?
Roberto Benigni è, come me, intrigato dalle
crittografie. Ci sono periodi in cui passiamo interi pomeriggi a
crearne e a risolverne. Quando abbiamo scritto La vita è bella ci è venuto
in mente di esplicitare nel film questa nostra passione. L’abbiamo
resa funzionale al racconto, lì dove |
volevamo caratterizzare
la fragilità di un personaggio
carnefice-vittima come l’ufficiale medico tedesco,
che sostituisce l’impotenza a risolvere un indovinello con
l’impotenza di un uomo intrappolato dalla Storia.
Lei è un grande costruttore di storie, emozioni,
trame. Il costruttore di giochi enigmistici deve riuscire a fondere
la creatività con il rispetto delle regole e dei canoni prefissati.
Come si è trovato in questo ruolo?
Nel mio ultimo romanzo, L’incontro,
l’enigmistica
fa da protagonista, da griglia per il racconto. Il protagonista,
un giovanissimo enigmista, alla fine di un lungo gioco si infuria
contro chi ha redatto la sua “Caccia al tesoro” perché conteneva
una scorrettezza grave: un passaggio era in codice, quindi risolvibile
solo da chi aveva in mano quel codice. Il ragazzo, Lud, interpreta
tale scorrettezza come specchio di una immoralità di fondo.
Chi bara al gioco, per lui, è qualcuno che sicuramente bara
anche nella vita. Un giovane di oggi vuole certezza dei canoni prefissati,
non chiede molto di più. Il minimo è che ci siano regole
che valgono per tutti. La creatività necessaria a inventare
e a risolvere le questioni enigmistiche è la stessa che ci
vuole nella vita, e più che mai quando la si vuole raccontare,
come fa uno scrittore.
A proposito di regole
enigmistiche, un passo importante del libro gioca sul rispetto
reciproco tra il creatore del gioco e il solutore che deve “fidarsi” della
correttezza del suo avversario. L’enigmistica ha la lealtà tra
i suoi presupposti. Come fa ad essere ancora di moda?
Ho in parte risposto a questa domanda. Ma qui è di
grande interesse la questione della lealtà. Non c’è niente
di più frustrante per un solutore che farsi |